Santuario Maria Santissima delle Grazie

Il Santuario di Santa Maria delle Grazie è un luogo di culto cattolico della diocesi di Cefalù, sede dell'omonima parrocchia e dello stesso santuario, situato nel centro storico di Alia e costruito tra il 1630 e 1639.

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Descrizione

Edifici di culto

Descrizione

Il Santuario di Santa Maria delle Grazie è un luogo di culto cattolico della diocesi di Cefalù, sede dell’omonima parrocchia e del santuario, situato nel centro storico della cittadina madonita di Alia nella citta metropolitana di Palermo. Costruito tra il 1630 e il 1639 per volere di Donna Francesca Cifuentes e del figlio Giovan Battista Celestri, è santuario dal 1957. La chiesa è legata, dal 2009, da speciale vincolo spirituale con la Basilica di S. Maria Maggiore in Roma.

La fondazione

Nella Sicilia della dominazione spagnola e del feudalesimo barocco, in cui continuavano a protrarsi quei rapporti di collaborazionismo tra Chiesa ed istituzioni politiche, ampiamente difesi dalla Iuxta Statuta Sacrosancti Concilii Tridentini, fondare un comune feudale, senza che contemporaneamente si provvedesse ad edificare una chiesa parrocchiale, significava rischiare un’impresa di ardua risoluzione. L’auspicabile armonia tra le due forme di potere e il generale clima di solida pietà cristiana imponevano la messa in cantiere di mirabili opere di evergetismo, tra le quali si colloca indubbiamente la stessa istituzione del titulus parrocchiale in terra di Lalia.

Risale al 4 febbraio 1639 l’atto di istituzione della parrocchia, stipulato da Donna Francesca Cifuentes e dal figlio primogenito Giovan Battista Celestri presso il notaio palermitano Vincenzo Scoferio alla presenza dei testimoni Fabrizio Terranova e Vincenzo Dispenza. Il documento, scritto interamente in latino con una forma che esula dal freddo e piatto stile notarile, ricorda come i due feudatari, per «l’immensa devozione che hanno sempre avuto nei confronti della Regina degli Angeli (…), ispirati dallo Spirito Santo dal qual provengono tutte le cose buone» hanno deliberato di costruire «una Chiesa sotto il titolo di Santa Maria di tutte le Grazie», istituendo a maggior decoro della suddetta un benefico col titolo di parroco. Al titolare del beneficio, da identificare nella persona di don Michele Purpura, primo parroco di Alia, e ai suoi successori, i Marchesi di Santa Croce assegnavano una dote di 30 onze annue, sei delle quali andavano destinate alle spese correnti per l’acquisto «dei ceri e dell’olio per la lampada del Santissimo».

Il primo battesimo, regolarmente registrato nel Liber Baptizatorum 1/I, risale all’anno 1655; da questa annotazione si avvia la lunga serie di registrazioni anagrafiche, giunte praticamente senza soluzione di continuità sino ai nostri giorni. Una copia dell’atto del primo battesimo, insieme ad altre notizie sulla stessa cerimonia, è riportato anche nell’Ordo Sacerdotum qui in estremum diem Aliae obierunt, un documento cronachistico del XVIII secolo che menziona brevemente le biografie dei sacerdoti vissuti e morti ad Alia. Di particolare interesse storiografico è la formula di apertura di quest’ultimo, in cui il cronachista annota che «sebbene nell’anno 1622 dal Parto della Vergine, alcuni uomini avessero cominciato ad abitare ad Alia, tuttavia prima dell’anno 1655 sembrasse non esistere ancora un fonte Battesimale. […] Il primo che nel Sangue dell’Agnello lavò, qui in Alia, la sua veste l’11 novembre del medesimo anno fu il bambino al quale imposero il nome di Antonino Martino Giuseppe, figlio di Melchiorre e Agata La Rosa». Era un periodo in cui Lalia (poi Alia) contava ancora pochi abitanti: si pensi che in quell’anno non vi furono altri battesimi e che il Liber defuntorum dello stesso anno annota pochissimi decessi.

L’elezione a santuario

La conclusione dei lavori di edificazione della navata sinistra (vedi infra) costituì l’occasione precipua per portare a compimento un disegno disatteso da parecchi decenni. Il progetto per l’erezione della Chiesa Madre di Alia alla dignità di santuario era già stato avviato nell’immediato dopoguerra, ma la disastrosa crisi economica seguita al secondo conflitto mondiale aveva spinto il clero locale a procrastinarne l’attuazione. Il miglioramento delle condizioni di vita conseguente alle prime emigrazioni, preludio del grande boom economico degli anni ‘60 e della speculazione edilizia degli anni ‘70, permise al neo eletto parroco della parrocchia Matrice, don Michele Botindari, di interpretare i segni dei nuovi tempi e, seguendo in prima persona l’iter burocratico, di concretizzare il sospirato disegno.

Il decreto vescovile di elezione venne firmato l’8 maggio 1957 dal vescovo di Cefalù, Emiliano Cagnoni e registrato nel Volume VIII, foglio 417, nº 607 dal Cancelliere pro tempore, sacerdote Stefano Quagliana. Fatta salva la chiusa, il documento si snoda con uno stile semplice e paternalistico che non disdegna di ricordare come i figli di Alia «pur essendo raggruppati in Parrocchie diverse, condividano la stessa devozione verso l’Inclita Madre delle Grazie e con frequenza salgano alla Chiesa Madre […] per ottenere protezione nelle molteplici difficoltà della vita presente». Contestualmente, la penitenzieria apostolica vaticana decretava l’elargizione di indulgenze «a coloro che, recitando Ave, Pater e Gloria secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, visiteranno devotamente il Sacro Tempio». La solenne messa pontificale, alla presenza del vescovo di Cefalù, del capitolo canonicale della Basilica Cefaludese, delle autorità civili e militari e di un nutrito gruppo di fedeli fu celebrata il 21 giugno 1957, nello stesso giorno in cui il Papa Pio XII, per mezzo del Sostituto alla Segreteria Vaticana, mons. Angelo Dell’Acqua, faceva giungere un telegramma con l’apostolica benedizione sul clero locale e sul popolo di Dio.

Architettura e arte

L’edificio di culto, dedicato probabilmente dal vescovo di Cefalù Pietro Corsetto il 4 febbraio del 1639, sorse sulla sommità di un blocco di roccia arenaria, all’apice della collina dell’abitato e nello stesso luogo in cui si trovava la cappella baronale dedicata al Crocifisso. Ancor prima, quindi, della fondazione del Comune e anche se condizionata alla cura di sacerdoti provenienti da paesi vicini, nell’antico feudo baronale dovette svolgersi una prima forma di vita religiosa, a testimonianza della quale rimangono oggi alcune annotazioni di morte risalenti agli anni 1615-1624. La fabbrica seicentesca era originariamente prevista a tre navate e con due campanili, ma la mancanza di fondi arrestò la costruzione al solo campanile di sinistra e all’aula centrale. La navata di destra fu infatti edificata grazie all’opera del canonico Rosolino Costanza e al concorso del popolo aliese nel 1901, mentre quella di sinistra fu costruita per interessamento del parroco, don Michele Botindari, nel 1957, allargando le strutture dell’Ottocentesco Oratorio della Madonna delle Grazie.

La chiesa, preceduta da un largo sagrato, accessibile da due scalinate, presenta una pianta basilicale a tre navate, di cui la maggiore, più larga ed alta delle altre, termina con un’abside in corrispondenza del presbiterio. All’edificio sacro si accede per mezzo di un maestoso portone bronzeo, opera del maestro Pietro Giambelluca, che immette all’interno di un endonartece a triplice arcata. La divisione tra le navate è ottenuta da una teorie di cinque pilastri sorreggenti archi a tutto sesto; l’illuminazione è assicurata invece da undici aperture ad arco ribassato nella navata centrale e da tre finestre della medesima tipologia nelle navate laterali. Sulle pareti lunghe di queste ultime si aprono in successione tre esedre a pianta rettangolare, mentre sui lati corti trovano posto rispettivamente la prothesis (a sinistra) e il diakonikon (a destra).

Oltre agli interventi già menzionati, l’edificio ha subito parecchi restauri: alla prima metà del XIX secolo si datano gli stucchi dell’abside, realizzati da Giuseppe Sesta e restaurati dallo stesso stuccatore nella seconda metà del medesimo secolo; al 1861 risale la costruzione dell’altare preconciliare della navata centrale; del 1965 sono le undici vetrate artistiche con temi mariologici, pregevole opera in vetro piombato di Guido Polloni da Firenze, e la pavimentazione in perlato siciliano delle navate; degli anni ’80 e ’90 del XX secolo sono le tele monumentali del Garozzo, del Bonanno, del Gianbecchina e del Pedone, che decorano le pareti del presbiterio, la volta della navata centrale e le lunette delle aule laterali. Gli interventi artistici più recenti fanno capo all’ultimo ventennio: del 2004 è il magnifico altare a mensa del presbiterio, frutto dell’assemblaggio di rilievi settecenteschi, e l’apparato pavimentale del sacrarium.

Il santuario accoglie anche un organo elettro-meccanico del 1974, composto da 18 registri oltre le pedaliere, per un totale di 1200 canne.

da Collegamento nazionale santuari-Wikipedia

Modalità di accesso

il santuario è parzialmente accessibile

Indirizzo

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